Importanza e autonoma rilevanza del consenso informato: profili di responsabilità medica e risarcitori

Il diritto di informazione del paziente, nell’ambito del trattamento sanitario, riveste un’importanza cruciale la cui violazione da parte del personale sanitario configura un’ipotesi di responsabilità medica autonoma rispetto alla responsabilità per inesatta/negligente esecuzione della prestazione sanitaria (c.d. malasanità). La prestazione che forma oggetto dell’obbligo di informazione e di acquisizione del consenso è infatti diversa dalla prestazione sanitaria in sé e per sé considerata, che ha per oggetto e finalità la tutela del diritto fondamentale alla salute.

L’inadempimento dell’obbligo di acquisizione del consenso informato determina la lesione del diritto del paziente all’autodeterminazione circa il proprio stato psico-fisico, tutelato dall’art. 32 della Carta Costituzionale: nessuno infatti può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (cfr. Cass. civ., Sez. III, 12 giugno 2015, n. 12205).

Il paziente che non sia stato adeguatamente informato dal medico prima di essere sottoposto a una terapia o ad un intervento chirurgico potrà instaurare un giudizio contro il sanitario per far accertare la responsabilità di quest’ultimo e quindi per ottenere il risarcimento dei danni subiti.

La Corte di Cassazione ha affermato in materia il principio in base al quale senza il consenso informato da parte del paziente l’intervento terapeutico costituisce un illecito e pertanto “il medico risponde delle conseguenze negative che ne siano derivate quand’anche abbia correttamente eseguito quella prestazione” (cfr. Cass. civ., Sez. III, 12 giugno 2015, n. 12205 e altresì in termini conformi Cass. civ., Sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847).

Quindi il buono o cattivo esito del trattamento sanitario eseguito senza il consenso informato del paziente non ha alcuna rilevanza ai fini dell’accertamento della responsabilità omissiva del medico.

La Cassazione ha anche chiarito che la mancata acquisizione del consenso informato lede il diritto all’autodeterminazione del paziente e che questa lesione provoca al paziente “uno stato di turbamento di intensità correlata alla gravità delle conseguenze verificatesi e non prospettate come possibili, purché, in caso di reclamato danno non patrimoniale, varchi la soglia della gravità dell’offesa”. Il danno non patrimoniale da violazione del consenso informato secondo la giurisprudenza è risarcibile, anche in caso di esito favorevole dell’intervento, ma solo nel caso in cui il diritto del paziente venga inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità che deve essere valutato dal Giudice caso per caso, bilanciando il principi di solidarietà e di tolleranza tenendo come riferimento la coscienza sociale in un determinato momento storico (cfr. Cass. civ., Sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847).

Inoltre, in tale ipotesi sul paziente incombe l’onere di provare e allegare

  1. a) l’incompletezza o inadeguatezza dell’informazione ricevuta prima di sottoporsi al trattamento sanitario e
  2. b) di aver subito dei danni a causa della lesione della sua libertà di autodeterminazione (prova questa che può essere fornita anche mediante presunzioni) (cfr. Cass. civ., Sez. III, 12 giugno 2015, n. 12205).

Il paziente, dunque, ha l’onere di provare che avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato e che avrebbe opposto un rifiuto al medico ove fosse stato correttamente informato, orientando diversamente la propria scelta soggettiva.

Il Giudice avrà il compito valutare di volta in volta se l’intervento sarebbe stato rifiutato dal paziente ove il medico gli avesse puntualmente spiegato le sue possibili conseguenze e una volta accertata la sussistenza della lesione del diritto all’autodeterminazione dovrà liquidare – in via necessariamente equitativa – il danno, tenuto conto della lesività dello stesso con riferimento ad un determinato momento storico.

In merito all’entità del risarcimento, che andrà valutata dal Giudice considerando le caratteristiche del caso concreto.

La Cassazione ad esempio ha ritenuto corretta la liquidazione, effettuata da dalla Corte d’Appello di Milano, di € 30.000,00 ad una paziente, che era stata operata per un problema di lombo-sciatalgia e che non era stata adeguatamente informata dal medico circa la natura e le conseguenze dell’intervento medesimo (cfr. Cass. civ, Sez. III, 5 luglio 2017, n. 16503).