Amianto: esposizione professionale e risarcimento

Amianto: esposizione professionale e risarcimento del danno biologico e morale, due Sentenze della Corte di Cassazione.
Fonti:

Le informazioni sotto riportate sono tratte dal Sito Web dell’INAIL (www.inail.it) e dal Sito Web de “Il Sole 24 Ore” (www.ilsole24ore.it)

Oltre 2000 i morti per amianto accertati durante il Processo Eternit di Torino, del Febbario 2012, oltre 30.000 nel 2025: questi i dati della mortalità da amianto. Sul risarcimento del danno due importanti Sentenze della Corte di Cassazione.

E’ stato brevettato dall’austriaco Ludwig Hatschek nel 1901 ed è stato chiamato Eternit (dal latino aeternitas, eternità) per l’elevata resistenza. Nel 1902 il commerciante Alois Steinmann acquista la licenza per la produzione ed apre – l’anno successivo a Niederrumer, cittadina situata nel Cantone di Glarona (Svizzera tedesca) – la “Schweizerische AG.Eternitwerke”.

Questa molto in breve la storia della nascita dell’Eternit (un prodotto di fibro-cemento e amianto, non più in commercio in Italia, dal 1994) che è salito agli onori della cronaca per la pesante condanna penale (16 anni di carcere) inflitta, a Febbraio del 2012 dal Tribunale di Torino, a Stephan Schmidheiny, 65 anni, e Louis De Cartier, 91 anni, entrambi (ma in tempi diversi) proprietari della multinazionale svizzera “Eternit” che in Italia aveva alcuni stabilimenti, tra cui quello di Casale Monferrato, attivo dal 1906.

La storia industriale di questo materiale “eterno” è costellata di decessi: oltre 2.100, quelli accertati del Procuratore Raffaele Guariniello di Torino, ma molti di più, in realtà, visto che – come denuncia “Medicina Democratica” sul suo sito web – l’amianto continua ad uccidere con un ritmo di 40/50 morti l’anno e che la fibra-killer è destinata a lasciare la sua scia di morte per lungo tempo ancora nel prossimo futuro: si stima, infatti, che nel 2025 il numero dei morti per amianto avrà raggiunto la cifra di 30.000, dall’inizio della sua storia (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/i-colpevoli-delleternit/2173917).

Dell’amianto e delle conseguenze su chi è esposto, professionalmente o occasionalmente, alle sue polveri (alto rischio di contrarre un tumore maligno denominato mesotelioma) abbiamo già riferito in una precedente Scheda   qui vogliamo invece soffermarci su dueimportanti Pronunce della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione Civile, in tema di risarcimento del danno biologico e morale (ex artt. 2043 e 2059 c.c.) relativi a quella che, con un termine tecnico, è definita patologia “asbesto-correlata” ovvero  il mesotelioma maligno, contratto per contatto prolungato con le polveri di amianto.

Il termine asbesto equivale totalmente ad amianto, ed in greco significa “perpetuo“, “inestinguibile“. I due termini vengono usati indifferentemente per indicare lo stesso minerale (più precisamente un silicato). Da qui anche l’uso del termine asbestosi, per indicare la patologia derivante dall’inalazione delle polveri generate dall’amianto/asbesto, le quali vanno a depositarsi nella parte inferiore dei polmoni, dove formano cicatrici fibrose che si estendono anche alla membrana pleurica.

Con la Sentenza n. 2251, del 16 Febbraio 2012 – la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione Civile – decidendo su un Ricorso – attivato da una Società veneziana che chiedeva la riforma di una Sentenza (pronunciata, nel 2009, dalla Corte d’Appello di Venezia) con la quale era stata condannava a liquidare, agli eredi di un lavoratore deceduto per mesotelioma pleurico da contatto prolungato con amianto, la somma di Euro 100,00 per ogni giorno di malattia intercorso tra la diagnosi ed il decesso del lavoratore stesso – ha sancito due principi importanti.

In primis la Corte ha chiarito che la responsabilità del danno grave all’integrità psicofisica del lavoratore – e che successivamente ne aveva causato il decesso, dovesse ricadere interamente sulla Società stessa, in quanto datrice di lavoro. Secondariamente, che il “ristoro” economico richiesto dai familiari, per la sua quantificazione, dovesse essere calcolato considerando non solo il danno biologico, ma anche quello esistenziale, in ciò includendo anche le sofferenze che una patologia aggressiva come il mesotelioma pleurico procura a chi ne è colpito.

La Corte ha stabilito, infatti, che:

“[…] in caso di lesione dell’integrità fisica conseguente a malattia occorsa al lavoratore per la violazione dell’obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro ex art. 2087 cc., ove dalla malattia sia derivato l’esito letale e la vittima abbia percepito lucidamente l’approssimarsi della fine attivando un processo di sofferenza psichica, l’entità del danno non patrimoniale (il cui risarcimento è reclamabile dagli eredi) deve essere determinata sulla base non già (e non solo) della durata dell’intervallo tra la manifestazione conclamata della malattia e la morte, ma dell’intensità della sofferenza provata, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e delle altre particolarità del caso concreto”, cui il giudice di rinvio è stato chiamato ad uniformarsi.”.

Analoga la decisione presa – sempre dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione Civile – con la Sentenza 8 Ottobre 2012, n. 17092. Il caso esaminato era relativo ad un lavoratore morto nel 2003, in conseguenza di un mesotelioma pleurico anch’esso derivante da esposizione prolungata alle polveri di amianto. Il lavoratore aveva scaricato per anni (dal 1956 al 1980) sacchi di iuta con fibre di amianto, privo anche della pur minima protezione di una mascherina.

La S.C. ha deciso – rigettando la tesi della difesa, che imputava l’accaduto agli armatori e/o alle Cooperative di facchinaggio – che: “[…] nel contesto dell’attività portuale, l’unico soggetto dotato di caratteristiche imprenditoriali era l’Autorità Portuale di Venezia”. Pertanto, doveva essere ricondotta “a tale soggetto l’esclusiva incombenza del rispetto” delle norme sulla “tutela dei lavoratori che eseguono la propria attività in un contesto nel quale una sola è la figura imprenditoriale di preminenza”. Le modalità dello scarico in porto, quindi, “non dipendevano dall’armatore bensì soltanto dall’Autorità portuale sulla quale incombevano gli oneri di sicurezza dei lavoratori addetti a tali compiti.”.

La Cassazione ha stabilito altresì – anche in questo caso – che l’entità del risarcimento liquidato dovesse essere calcolata sulla base non solo del danno biologico patito dal lavoratore, rivelatosi di tale gravità da causarne il decesso, ma anche considerando il danno esistenziale, con riguardo particolare alle sofferenze patite dalla persona colpita e, di conseguenza, ha giudicato incongruo il risarcimento stabilito, con Sentenza del 2010, dalla Corte d’Appello di Venezia pari a 19.800 Euro, ovvero 150,00 Euro per ciascuno dei 132 giorni di malattia del lavoratore, poi deceduto.

Nello specifico, la Corte ha, infatti, ribadito quanto già stabilito con la propria Sentenza 21 Aprile 2011, n. 9238, richiamandola, ovvero che: “[…] in materia di risarcimento danni, in caso di lesione di un diritto fondamentale della persona, la regola, secondo la quale il risarcimento deve ristorare interamente il danno subito, impone di tenere conto dell’insieme dei pregiudizi sofferti, ivi compresi quelli esistenziali, purché sia provata nel giudizio l’autonomia e la distinzione degli stessi, dovendo il giudice, a tal fine, provvedere all’integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del danno, che, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione di tipo automatico, tenga conto, pur nell’ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione e, dunque, delle particolarità del caso concreto e della reale entità del danno”.