La giurisprudenza ha ritenuto configurabile la fattispecie di mobbing e pertanto suscettibile di produrre un danno risarcibile al lavoratore nei seguenti casi:
a) dequalificazione professionale del lavoratore adibito, con intento vessatorio o punitivo, a mansioni inferiori. La Cassazione ha riconosciuto l’esistenza di un danno non patrimoniale ad un lavoratore spostato ad un diverso ufficio, con attribuzione di una qualifica inferiore, riconoscendo sussistente un danno non patrimoniale derivante dalla dequalificazione (cfr. Cass. civ., Sez. Lavoro, 29 febbraio 2012, n. 3057);
b) lavoratore posto in una condizione di forzata inattività preordinata all’esclusione dello stesso dal contesto lavorativo. La Cassazione considera tale condotta lesiva del fondamentale diritto al lavoro e della dignità professionale del lavoratore “intesa come esigenza umana di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo”. Pertanto, secondo la Corte, tale lesione produce automaticamente un danno suscettibile di risarcimento, anche in via equitativa. Al contrario, se la violazione del diritto del lavoratore a svolgere la propria prestazione prescinde da uno specifico intento di declassare il lavoratore a mezzo della privazione dei suoi compiti, verrà la responsabilità del datore di lavoro (cfr. Cass. civ., Sez. Lavoro, ordinanza 18 maggio 2012, n. 7963);
c) irrogazione di una serie di provvedimenti disciplinari infondati, sproporzionati o manifestamente eccessivi adottati nel quadro di una specifica volontà di precostituire una base per disporre il licenziamento del lavoratore (cfr. Cass. civ., Sez. Lavoro, 13 settembre 2012, n. 15353).