Risarcimento pesante per i parenti di chi è morto per l’esposizione all’amianto.
Lo stabilisce la Corte di cassazione con una sentenza della Sezione lavoro, la n. 2251, depositata ieri.
Una pronuncia nella quale è naturale sentire, se non nei tempi almeno nell’oggetto, l’eco di quanto avvenuto a inizio settimana con la condanna dei vertici di Eternit per i morti di Casale.
I giudici, che in questo caso sono intervenuti sul solo versante civile, hanno istituito un principio di diritto in base al quale in caso di lesione dell’integrità fisica di una lavoratore a causa di una malattia contratta in violazione delle norme sulla sicurezza, «l’entità del danno non patrimoniale (il cui risarcimento è reclamabile dagli eredi) deve essere determinata sulla base non già (e non solo) della durata dell’intervallo tra la manifestazione conclamata della malattia e la morte, ma dell’intensità della sofferenza provata, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e delle altre particolarità del caso concreto».
A condizione che, sottolinea la Cassazione, dalla malattia sia derivata la morte e la vittima abbia «percepito lucidamente l’approssimarsi della fine e attivando un processo di sofferenza psichica».
Il caso di cui si sono occupati i giudici è relativo alla richiesta di risarcimento danni presentata dai figli di un direttore di produzione della nave, dal 1955 al 1960 e dal 1969 al 1974, dei Cantieri navali Breda spa, poi incorporati da Fincantieri. L’uomo era deceduto, secondo gli eredi, a causa di neoplasia polmonare (mesotelioma) provocata dall’inalazione di fibre di amianto presenti nell’ambiente di lavoro e per l’assenza di adeguate misure di sicurezza.
I giudici di merito accoglievano la domanda, ma nel passaggio dal primo grado all’appello, riducevano l’importo del risarcimento da 230mila a 123mila euro, facendo riferimento al solo danno biologico. La Cassazione, alla quale si erano rivolti sia Fincantieri sia i figli dell’operaio deceduto, osserva innanzitutto come, sul piano legislativo, già da prima degli anni settanta era stata affermata la pericolosità della lavorazione dell’amianto. La responsabilità a carico del datore di lavoro poi, come delineata dal Codice civile, non ha nulla di oggettivo ma rappresenta uno dei contenuti del contratto di lavoro.
Quanto all’entità del risarcimento, la Cassazione critica le modalità con le quali è stato definito l’importo, facendo riferimento alle sole tabelle di liquidazione del danno biologico, senza tener conto della situazione soggettiva del soggetto danneggiato.
La Corte d’appello aveva fissato in 100 euro al giorno di malattia la cifra da risarcire, a titolo di danno biologico, ridotti della metà per il danno morale. Senza nessuna indicazione sul criterio di valutazione adottato. Una scelta che per i giudici non può essere condivisa.
Tratto da “Il sole 24 ore” 17 febbraio 2012