L’autonomia del danno morale nell’ambito del danno non patrimoniale

Il risarcimento del danno non patrimoniale, di cui all’art. 2059 del c.c., si considerava possibile solo in presenza di un reato (ai sensi dell’art. 185 c.p.[1]) o nei casi tassativamente indicati dalla legge (si pensi alla Legge 117 del 1998 art. 2: danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall’esercizio di funzioni giudiziarie; Legge n. 675 del 1996, art. 29, comma 9; Legge n. 89 del 2001, art.2).

La giurisprudenza maggioritaria ne individuò il contenuto nel c.d. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza contingente, turbamento dell’animo temporaneo che il danneggiato, quale vittima di un reato, subiva.

Ma nell’attuale assetto ordinamentale, nel quale assume una posizione preminente la Costituzione, che nell’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, si è resa necessaria una rilettura dell’espressione “nei casi previsti dalla legge”. La lettura originaria, in effetti era restrittiva e insostenibile e, pertanto, parte della dottrina e della giurisprudenza si impegnarono per cercare di pervenire ad una interpretazione dell’art. 2059 in chiave costituzionalmente orientata. A partire dal 2003, con le sentenze 8827 e 8828 della Cassazione, vi fu un ampliamento del danno non patrimoniale che “deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona” [2] e che va risarcito “anche in favore delle persone giuridiche; soggetti per i quali non è ontologicamente configurabile un coinvolgimento psicologico in termini di patemi d’animo ”[3] .

Quindi, la categoria del danno non patrimoniale, di cui dall’art. 2059 c.c., oltre a comprendere senz’altro i danni espressamente previsti dalla legge (come in origine), comprende ora anche tutti quei danni che sono conseguenza della lesione di un interesse o di un valore della persona di rilievo costituzionale non suscettibile di valutazione economica. Va precisato che il danno non patrimoniale è risarcibile non in ogni caso in cui esista un bene giuridicamente rilevante, ma solo quando tale bene sia protetto dalla Costituzione [4].

Di conseguenza, in virtù della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, rientrano nell’ambito dell’art. 2059: il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Costituzione) denominato danno biologico; il danno esistenziale che può esser definito come “il peggioramento della qualità della vita del danneggiato”;

Il danno morale, infine, che consiste nel “pretium doloris” ossia il patema d’animo interiore ed attiene alla sfera dell’integrità morale tutelata dall’art. 2 della Costituzione. Emerge, da questa semplice differenziazione delle tipologie di danno non patrimoniale, una sostanziale differenza in particolare tra il danno biologico, che attiene alla sfera individuale della salute, e il danno morale che invece attiene alla sfera dell’integrità morale [5].

Due poste distinte che meritano entrambe uguale considerazione posto che “la Costituzione non prevede il maggior valore della salute rispetto alla menomazione della sfera morale ”[6]. L’indipendenza del pregiudizio morale e la sua autonomia rispetto al danno biologico era stata affermata già nel 1996 dalla Corte Costituzionale [7] e successivamente dai Giudici di legittimità, che nella sentenza del 2003, già citata, ritenevano “opportuno” distinguere “tra quanto va riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica, ovvero quanto deve essere liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico in senso stretto.”
Questa impostazione, però, è stata sconvolta dalle sentenze delle Sezioni Unite dell’11.11.2008 n. 26972-26975. Per i giudici della Cassazione, “nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula ‘danno morale’ non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”. Ancora “non emergono nell’ambito della categoria generale ‘danno non patrimoniale’, distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge…di riparazione del danno non patrimoniale”.

Pertanto, l’utilizzo di differenti denominazioni ha solo una finalità descrittiva ma non uno scopo pratico perché il danno non patrimoniale è uno soltanto. Il Giudice, per evitare di incorrere in una inaccettabile “duplicazione del risarcimento” riconoscendo “la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno  morale”  dovrà, se si avvale delle tabelle appositamente definite, procedere alla “adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza” [8]. Di fatto veniva negata l’autonomia del danno morale tra le poste di risarcimento comprese nell’art. 2059 c.c..

Questo orientamento ha subito sollevato le critiche di ampia parte della dottrina ed è stato avversato anche da parte della giurisprudenza. Basti pensare che solo un mese dopo, in controtendenza con le sentenze summenzionate, interviene la sentenza 12 dicembre 2008, n. 29191, che afferma due importanti principi: 1) l’autonomia del danno morale, voce “dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto,” e cioè l’integrità morale; 2) la necessaria valutazione di questa voce di danno che “deve tenere conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute.” In pratica si torna alla situazione antecedente alle sentenze del 2008 e in più si sancisce l’autonomia ontologica del danno morale rispetto al danno alla salute e la conseguente impossibilità di liquidare il primo in percentuale del secondo. Il danno morale, quindi, sembra riacquistare una sua autonoma valenza. Successivamente, nel 2010, ancora le sezioni semplici della Cassazione Civile[9] affermavano che “il danno morale è voce di danno, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto”.

I sostenitori dell’autonomia del danno morale avevano ritenuto che fosse stato lo stesso Legislatore con due suoi interventi a sciogliere ogni dubbio sulla questione prevedendo con il D.P.R. 3 marzo 2009, n. 37 (Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all’estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali) e il D.P.R. 30 ottobre 2009, n. 181 la liquidazione del danno non patrimoniale, cumulando a fini risarcitori le voci tipizzate come danno biologico e danno morale.

Questo indirizzo viene ripreso nella recentissima sentenza della Cassazione Civile, sez. III del settembre 2011, n. 18641 che sembra mettere fine alle rigide, e probabilmente ingiustificate. limitazioni che le SS.UU. nel 2008 avevano imposto al danno morale. In primo luogo nella sentenza del 2011 si osserva che le Sezioni Unite della Cassazione non avevano mai inteso provocare la scomparsa del danno morale per assorbimento nel danno biologico e che, in realtà, queste hanno indicato al giudice di merito “la necessità di evitare una duplicazione risarcitoria, invitandolo ad una attenta analisi del materiale probatorio”.[10]

Inoltre, secondo la Cassazione, l’indirizzo che vuole il danno morale autonomo rispetto al danno biologico è supportato dall’operato del Legislatore che nei due interventi del 2009 ha manifestato “inequivocabilmente… la volontà di distinguere concettualmente prima ancora che giuridicamente tra la voce di ‘danno c.d. biologico’ e la voce di ’danno morale’. Proprio la chiarezza delle espressioni usate dal Legislatore esclude che ci possa essere dubbio circa la sua volontà e, pertanto, la fonte legislativa “quando si manifesta agli interpreti in modo così chiaro e univoco” non può essere ignorata da quella giurisprudenziale.[11]

Con questa pronuncia chiara, diretta ed esplicita sulla controversa questione della risarcibilità del danno morale e della sua autonomia rispetto alle altre poste di danno non patrimoniale,la Cassazione ha di fatto consentito al danno morale di rientrare dal suo esilio attribuendogli nuovamente quella posizione di differenziazione nell’ambito del danno non patrimoniale.

[1] Codice Penale, art. 185 comma 2:”Ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole….”
[2] Cassazione civile, sez. III 31 maggio2003 n. 8827
[3] Cassazione civile, sent. ul. cit.
[4] Cassazione SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972
[5] In questo senso Cassazione Civile, sez. III, sent. 12 luglio 2006, n.15760 in Resp. Civ., 2007, 1, 28.
[6] Cassazione Civile, sez. III, 10 marzo 2008, n. 6288.
[7] Corte Costituzionale, 22 luglio 1996, n. 293 in Giur. It., 1997, I, 314: danno biologico e danno morale ”hanno natura diversa e non si identificano in alcun modo”
[8] Cassazione civile, SS.UU. 11 novembre 2008 n. 26972.
[9] Cassazione Civile, sez. III, sentenza 10 marzo 2010, n. 5770.
[10] Cassazione Civile, sez. III, sentenza 12 settembre 2011, n. 18641
[11] Sent. ul. cit.