Tempo di ferie, per molti italiani, alle prese con le tanto agognate vacanze estive. In milioni partiranno per concedersi qualche giorno di riposo, villeggiando al mare, in montagna o dovunque si possa beneficiare di un po’ di svago. Ma, purtroppo non sempre si riesce ad avere dalla villeggiatura quello che ci si aspetta.
Infatti, a causa di tour operator poco affidabili, trasporti lenti e infidi, disservizi, strutture inadeguate, le vacanze possono giocare un brutto scherzo ai consumatori, che spesso tornano più tesi e stressati di prima. Per tutti quelli che hanno subito “ingiustizie”, durante il meritato periodo di riposo, è bene sapere che si può usufruire, nei casi che lo permettono, del risarcimento del danno da vacanza rovinata.
Ma che cosa si intende, appunto, per danno da vacanza rovinata?
Gli orientamenti giurisprudenziali e le norme sul danno da vacanza rovinata » Normativa
Per cominciare, bisogna introdurre il danno da vacanza rovinata dal punto di vista legislativo. Con l’articolo 47, comma 1, del decreto legislativo del 23 maggio 2011, infatti, è stato introdotto il cosìdetto danno da vacanza rovinata stabilendo che: nel caso in cui l’inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico non sia di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c., il turista può chiedere, oltre ed indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento danni correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta .
Il danno da vacanza rovinata, quindi, può essere descritto come quel pregiudizio che si sostanzia nel disagio e nell’afflizione subiti dal turista-viaggiatore per non avere potuto godere pienamente della vacanza come occasione di svago e/o di riposo.
Gli orientamenti giurisprudenziali e le norme sul danno da vacanza rovinata » Danno patrimoniale e non
La vacanza rovinata è configurata da alcuni come voce di danno patrimoniale (in considerazione del fatto che il godimento del bene “vacanza” viene considerato bene giuridico suscettibile di valutazione patrimoniale), da altri come voce di danno non patrimoniale.
Per quanto riguarda il danno non patrimoniale (danni morali), è sufficiente dimostrare l’inadempimento del tour operator agli impegni assunti nel contratto.
Infatti, la Corte di Cassazione, dalla sua, con la sentenza numero 7256 dell’11 maggio 2012 ha stabilito che: In tema di danno non patrimoniale “da vacanza rovinata”, inteso come disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell’inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell’attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della “finalità turistica” (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero.
Praticamente, gli Ermellini hanno chiarito che non è necessario, per il turista che abbia subito un disagio psicologico, provare anche tale suo stato d’animo interiore.
In tal senso, la Suprema Corte si era espressa anche con la sentenza numero 16315 del 2007, dove aveva sancito che:Nel contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” (c.d. “pacchetto turistico” o “package”, disciplinato attualmente dagli artt. 82 e segg. del d.lgs. n. 206 del 2005 – c.d. “codice del consumo”), che si caratterizza per la prefissata combinazione di almeno due degli elementi rappresentati dal trasporto, dall’alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.) costituenti parte significativa di tale contratto, con durata superiore alle ventiquattro ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo comportante almeno un soggiorno notturno, la “finalità turistica” (o “scopo di piacere”) non è un motivo irrilevante ma si sostanzia nell’interesse che lo stesso è funzionalmente volto a soddisfare, connotandone la causa concreta e determinando, perciò, l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero. Ne consegue che l’irrealizzabilità di detta finalità per sopravvenuto evento non imputabile alle parti determina, in virtù della caducazione dell’elemento funzionale dell’obbligazione costituito dall’interesse creditorio (ai sensi dell’art. 1174 cod. civ.), l’estinzione del contratto per sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, con esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni.
Quindi, la finalità della “vacanza” e dello “svago” è l’elemento che caratterizza il contratto di viaggio in sé e che l’operatore è obbligato a garantire.
La mancata realizzazione, in tutto o in parte, della vacanza costituisce già di per sé la prova del danno cagionato al consumatore.
Un ulteriore pronuncia, su questo tema, è quella del 30 gennaio 2013, del Giudice di Pace di Pozzuoli, che ha riconosciuto il danno da vacanza rovinata ad alcuni turisti che, a causa di una serie di inadempimenti della propria controparte negoziale, non avevano potuto trascorrere un periodo di vacanza a Parigi.
Si legge nella sentenza: La nozione di risarcimento supplementare di cui all’art. 12 del Regolamento n.261/04, dev’essere interpretata nel senso che, consente al Giudice Nazionale di concedere il risarcimento danni, incluso quello di natura morale, occasionato dall’inadempimento del contratto di trasporto aereo, alle condizioni previste dalla convenzione per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo o dal diritto nazionale; – Nel caso in cui siano stati lesi diritti della persona, come quello alla reputazione, per il discredito subito, il danno è in re ipsa e dovrà essere risarcito senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova della sua esistenza; se invece viene dedotta la lesione della reputazione commerciale, l’altrui comportamento illecito rappresenta un semplice indizio dell’esistenza del danno, da valutare nel contesto di tutti gli altri elementi della situazione in cui si inserisce. Pertanto la parte che ha subito un pregiudizio alla propria immagine e reputazione commerciale e che invoca in proprio favore l’uso da parte del giudice del potere di liquidazione equitativa del danno, ha l’onere di provare, eventualmente anche con presunzioni, le sfavorevoli conseguenze patrimoniali derivategli dall’inadempimento contrattuale. Infatti il potere riconosciuto al giudice dall’art. 1226 c.c. di liquidare il danno con valutazione equitativa non esonera la parte interessata dall’obbligo di offrire al giudice elementi probatori circa la sussistenza del danno, esaurendosi l’apprezzamento equitativo del magistrato nella necessità di colmare quelle che sono le lacune inevitabili nella determinazione del preciso ammontare del danno. La valutazione equitativa del danno, cioè, presuppone che questo, pur non potendo essere provato nel suo preciso ammontare, sia certo nella sua esistenza ontologica; se tale certezza non sussiste, il potere discrezionale del giudice del merito, nonostante l’affermazione generica del diritto al risarcimento, non ha modo di estrinsecarsi e deve essere applicato il principio actore non probante reus absolvitur.
Il giudice campano con la pronunzia in esame ha aderito, quindi, all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, secondo il quale il danno da vacanza rovinata costituisce una chiara ipotesi di danno non patrimoniale, essendo la conseguenza della lesione dell’interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo, con risarcimento danni, dunque, ai sensi dell’articolo 2059 del codice civile.
Poi, bisogna considerare, naturalmente, che questo danno ha anche natura patrimoniale, perchè trova fondamento in un contratto con l’agenzia di viaggi o con il tour operator.
Infatti, il risarcimento danni da richiedere deve dunque comprendere innanzitutto il pregiudizio economico che può coincidere con il prezzo pagato per il viaggio (nel caso di mancato godimento del soggiorno), oppure consistere in una riduzione del prezzo pagato (in caso di vacanza rovinata da disservizi, contrattempi o disguidi).
Di questo parere anche il Tribunale di Napoli, con sentenza numero 2195 del 18 febbraio 2013, ha accolto le doglianze avanzate da un gruppo di cittadini attraverso una class action privata contro il tour operator che aveva venduto loro un pacchetto vacanze a Zanzibar (Tanzania) per il periodo Natale-Capodanno 2009.
Gli attori si erano lamentati di non aver potuto trascorrere la vacanza alle condizioni pubblicizzate dal tour operator in quanto il resort dove erano diretti era risultato ancora in fase di ristrutturazione. Non solo. L’alloggio sostitutivo loro assegnato si era poi rivelato del tutto privo dei servizi indicati nel pacchetto, quali la spa, il frigo bar, il telefono, la cassaforte, la televisione e il collegamento wifi.
Grazie alla decisione dei giudici campani, il tour operator ha dovuto risarcire ai vacanzieri 1.300 euro ciascuno.
Sembra, quindi, che l’orientamento giurisprudenziale sia abbastanza coerente, in tutte le sentenze.